LA PREGHIERA, IL RITO, L’ETICA
Etimologicamente il termine deriva da precarius
ed esprime la coscienza della condizione precaria che l'uomo assume attraverso
il rapporto col suo Dio. E' coscienza di una mancanza anche se ancora non
tematizzata, è passaggio dell'esperienza creaturale, sempre caratterizzata da
un rapporto asimmetrico, in cui l'indigenza sentita non deve però far venir
meno la fiducia. Non rifiutare la propria condizione umana, riconoscere la
propria precarietà, sostenere malgrado tutto che la vita ha un senso e
conservare il desiderio di essa, riconoscere l'essere divino benevolo, attivo e
potente: la preghiera riporta tutto a Dio, opera un salto e attua un rapporto
nel quale l'uomo s'impegna e l'Altro viene riconosciuto.
La comunicazione con il soprannaturale può essere attuata tanto con il
corpo che con la verbalizzazione, proprio perché l'uomo è essere unitario di
corpo e di linguaggio e proprio perché le ambivalenze affettive sono universali
e operano nei rapporti religiosi al pari che nei rapporti umani: qui va
precisato che in occidente si risente di una certa separazione dualista fra
corpo e linguaggio.
L'atto essenziale nel quale si manifesta la religione presenta l'uomo
come colui che supplica, che alterna la riconoscenza, la proclamazione della
gloria divina e la richiesta. Per essere intenzionale l'atteggiamento religioso
si riferisce a Dio mirando a Lui più che possedendolo, nella fede Dio si
concede in risposta all'assenso umano.
Lo psicologo, al corrente delle motivazioni che lavorano alle spalle
delle intenzioni consce, si domanda se l'uomo non creda ad un dio perché
desidera che vi sia un dio che risponda alle sue suppliche, oppure proprio perché
crede in un Dio gli rivolge le sue suppliche. Le statistiche dicono che sono le
difficoltà che incitano al pensiero religioso mentre le esperienze positive
della vita e del mondo non evocano spontaneamente il rivolgersi a Dio. Le
situazioni frustranti, i pericoli più intensamente sentiti, fanno ricorrere a
Dio, tuttavia è necessario che la volontà di vivere prevalga sull'angoscia
poiché i sentimenti puramente negativi come la disperazione o la depressione
non suscitano mai un movimento verso di Lui, anzi vi si oppongono sottraendo la
forza necessaria. In questo ambito si riscontra che la preghiera personale
aumenta in relazione all'intensità dello sconforto mentre la partecipazione al
culto diminuisce proporzionalmente all'intensità della crisi.
La credenza nell'efficacia materiale diretta della preghiera diminuisce
anche con l'età. Se colui che prega è convinto che l'esaudimento della propria
preghiera dipenda dalla perfezione di questa, si può dire che egli attribuisce
alla preghiera una forza coercitiva e che concepisce Dio come una potenza
"mezzo personale-mezzo diffusa", che le preghiere possono piegare e
curvare a seconda della loro intensità (verbalismo). Laddove la preghiera si
realizzi in chiave feticistica, autistica, di appagamento immediato di bisogni,
si connota anche di elementi compensativi e infine la dipendenza timorosa nei
confronti del “Padre protettore” alimenta un atteggiamento servile e
diffidente verso le imprese umane e l'uomo resterà incapace di assumere
responsabilità ed iniziative.
Dove invece la preghiera si colloca come ricerca,
tensione verso una vicinanza, contatto con il Divino, facilita
quell'abbandono fiducioso e quel continuo rilancio di immaginazione, affettività,
intuizione, che aprono alla creatività e all'amore. Ciò che è significativo
qui, dal punto di vista psicologico, è l'ampiezza dei temi ripresi nella
preghiera. Ad es. la preghiera biblica: con essa, come un esercizio, la
pratica sviluppa la capacità di pregare ed il pregare ha il fine di sviluppare
la religione come vita di rapporto; nei mistici la preghiera di richiesta si
trasforma in desiderio di Dio.
Il RITO: Il rito esprime la realizzazione compiuta della
religione, la sua efficacia è intrinseca, esso produce da se stesso un effetto
ma ciò che produce è però di un altro ordine. Il rito va decentrato
dall'individuo ed è destinato a trasformarlo, esso nasce a monte dell'individuo
stesso, ha una sua autonomia nei confronti di chi lo pratica e collega
l'esistenza e il mondo con il soprannaturale, che l'uomo non può darsi da sé.
Affinché il rito conservi la sua dimensione simbolica deve restare al di qua di
un certo limite di realtà naturale: prendere esempio da una festa per
illustrare un rito è un controsenso psicologico.
La tradizione familiare sembra determinante per l'assistenza al culto
(esempio della famiglia), l'opposto si incontra raramente C'è sempre da
chiedersi però quanto la famiglia sviluppi il dovere religioso, se vi sia un
modello interiorizzato tramite identificazione con i modelli parentali, quanto
esso è frutto d’abitudine, ecc.
L'ETICA: Chi accetta un'etica, pur senza
formularlo con chiarezza, accetta un conflitto fra la naturale tendenza
delle pulsioni al piacere e il dispiacere di dovervi rinunciare in una certa
misura, e tutto questo al fine di accedere ad un piacere più elevato di quello
dato dall'appagamento immediato.
Alla base dell'opposizione alla legge vi è quindi l'antinomia tra il
piacere e il dispiacere ed anche l'autonomia etica non sopprime questo conflitto
ma quando giunge alla soluzione dà una soddisfazione narcisistica, nel senso di
una conferma ed un ampliamento della propria esistenza ed una offerta di un
piacere trasformato. Va detto che l'incapacità a raggiungere questa condizione
rappresenta una psicopatia.
Nell’ambito religioso il riconoscimento della paternità divina ha una
portata etica ancor più netta poiché sotto il nome di Padre si attribuiscono a
Dio le qualità di " autorità ", " di colui che dà la legge e
la norma ", " il giudice ", ecc.
Con l'aspetto negativo che l'autorità e soprattutto il giudizio
comportano l'uomo è invitato a trasformare positivamente la propria natura
pulsionale in una disposizione conforme alla volontà divina ( cf. la storia di
Caino ). La legge morale è per l'uomo direttrice e stimolo allo sviluppo
personale, il Padre non censura l'espansione dell'io, Egli è modello di sviluppo e promessa di realizzazione e la legge
non è un limite ma l'itinerario per l'interiorizzazione e la realizzazione del
modello, l'ascesi qui è aggiustare i propri desideri ossia un atto di
adattamento al mondo.
Il conflitto inerente ogni etica può però diventare più acuto in una
dimensione religiosa poiché oltre la norma umana vi è anche un riferimento
alla legge divina. Così il legame con Dio risulta, da quanto detto sopra sulle
risultanze narcisistiche, positivo se porta l'uomo ad un senso di liberazione,
di autonomia ed integrazione con sé, più grandi (questo è riconoscibile dallo
sguardo che il credente volge sugli altri e sul mondo). Viceversa quando il
rapporto con Dio non accresce il senso di carattere sacro di ogni persona umana
e quando la pratica rituale non sviluppa una conseguente etica e maturità umana
- se le pratiche religiose sono fatte per paura della punizione divina, se c'è
diffidenza verso il piacere, la repressione cavillosa verso la sessualità, se
ci si rifà prima all'opinione dell'ambiente (indecisione) - è legittimo
dubitare dell'intenzione propriamente religiosa: "ben
più liberati dovrebbero essere questi liberati" affermava con ragione
Nietzche.
L'insegnamento religioso che inculca le esigenze etiche può anche
privilegiare la morale individuale rispetto alla dimensione sociale dell'etica.
Le mentalità e le pratiche dell'ambiente esercitano ugualmente un'enorme
pressione sul comportamento morale: una visione distorta della religione può
anche dare una buona coscienza che dispensa da una buona fede morale, viceversa
non credenti ripongono tutta la loro dignità umana nella loro dimensione etica.
La coscienza morale si forma con l'interiorizzazione delle norme
attraverso l'identificazione con i modelli (con Freud abbiamo il Super-Io quale
istanza interna che svolge la funzione del giudizio, termine, per Freud, non
peggiorativo ma al contrario condizione per l'istituzione di una coscienza
morale che riconcili l'individuo e le sue pulsioni con la società civile).
L'identificazione con i modelli è un elemento molto importante
nell'interiorizzazione dei principi etici: il modello si ammira e ci si
appropria dei comportamenti, i primi modelli sono i genitori, successivamente
per il credente avviene anche una identificazione con l’immagine di Dio, per
cui l'uomo religioso si dovrebbe comportare secondo ciò che assimila
dall'atteggiamento di Dio. Nel caso contrario avremmo dissociazione,
come per es. benevolenza per sé giudizio severo per gli altri (cf. il servitore
ingrato di Mt. 18,21-35). I Vangeli e la tradizione cristiana indicano questo
riferimento al modello come il seguire Gesù Cristo (al di fuori della
terminologia psicologica la parola "identificazione" suggerisce l'idea
di eguaglianza).
Spostando l'etica verso le intenzioni
che dominano le azioni Gesù l'ha interiorizzata, ha abolito le norme di
purificazione, ha introdotto la vera adorazione in spirito e verità. Con Lui
l'etica si distacca dal suo legame originario con il rito e diventa la pratica
religiosa più significante, quella che rende vera la fede, ed i riti stessi,
spostando il centro religioso, non hanno più l'importanza che avevano in
precedenza. Però Gesù non ha sritualizzato la religione, non ha instaurato
solo un regno etico per gli antiritualisti, dove identificare la fede con
l'attività sociale a favore dell'uomo. Oggi l'azione efficace sul mondo appare
più efficace e con più senso dell'azione simbolica per effetto della
secolarizzazione, che contribuisce a rendere marginale il rito nella vita
religiosa di numerosi credenti.
Infine un chiarimento va fatto per quanto riguarda la dimensione
superstiziosa. Qui si ricorre all’uso delle cose come segni, al magico come un
modo per raggiungere gli scopi senza mettere in opera i mezzi normali, eludendo
gli ostacoli e sopprimendo le tappe intermedie, qui gli atti sono immediati, qui
si evitano i limiti e i disagi che la condizione umana impone. Si vuol
“essere” all'istante, senza imparare e senza accettare le contraddizioni e
le finitezze abituali della condizione umana. In questo caso la magia è
un'azione immaginaria, che emana dall'onnipotenza del pensiero, è
“immaginario – magica” una pratica di un rito che accorda un'efficacia
quasi meccanica, consequenziale. Idem quella che cerca di ottenere con il rito
un beneficio essenzialmente naturale, umano: l'uomo qui fa uso dei riti
religiosi per mascherare una situazione di miseria. Così anche se l'uomo crede
che l'azione divina si realizzi a dispetto dello scarto esistente tra la
disposizione umana e quella richiesta dal segno rituale.
L'intenzione umana viceversa deve coincidere con l'intenzione divina,
questo avviene se la simbolica del rito è vissuta realmente e quindi si
comunica effettivamente con Dio: la verità dell'azione simbolica, che è il
rito, esige un impegno per la realizzazione progressiva della dimensione etica
che la comunità celebrante simbolizza e prefigura.