LA RELIGIONE COME RELAZIONE
Dio è il termine ed il contenuto della fede e la religione si riferisce
non ad un concetto bensì ad una realtà, ad una Persona. Ma come riferirsi con
chi non si vede? Come rapportarsi attraverso formule dogmatiche? La fede in una
persona è una adesione intellettuale ed amorosa che sorpassa tutti gli indizi
che ci manifestano quella persona. Ora il mezzo autentico attraverso cui una
persona si rivela e si dà agli altri è la sua parola e l'accoglimento è in
primo luogo ascolto dell'altro: costui rimane sempre al di là di ciò che fa e
manifesta ma nella parola offre il cuore del suo essere. Così la religione che
si fonda su Dio come persona va diritta a Lui, lo ascolta e risponde col suo
assenso, l'uomo che si rivolge a Dio lo può conoscere solo nel momento in cui
crede, nel momento in cui il credente interpreta positivamente gli indizi di Dio
e impegna l'assenso al quale essi lo invitano.
L'accoglimento procede da una disposizione voluta e ragionata, è atto
cosciente compiuto dalla persona nella sua totalità, è atto di libertà
suprema contro ogni condizionamento che suppone la libertà interiore e può
essere vissuto soltanto se gli atteggiamenti morali e le condizioni psicologiche
hanno predisposto l'uomo all'accoglimento di un Altro.
E' atto di libertà suprema anche se l'atteggiamento di obbedienza
presupposto lascia sia ai credenti quanto agli increduli un'impressione di non
libertà. Quando però è posto, il credente vede instaurarsi una certezza
d'altro ordine, una certezza che non si fonda su di una garanzia preventiva ma
che si riceve vivendola. Eppure questa certezza può venir meno perché ad ogni
istante l'uomo può togliere la fiducia a Dio. Non è atteggiamento "fideistico"
che comporta una fiducia sorretta da un richiamo affettivo o giustificata da una
tradizione religiosa, è un atto liberante l'uomo in quanto dilata il suo essere
in una relazione interpersonale.
Ora, se la religiosità è un vissuto relazionale con un Tu trascendente,
essa suppone una adeguata capacità di relazione oggettuale, infatti le
rappresentazioni di Dio e la conseguente relazione con Lui - di fede o di
incredulità - sono radicate nelle precoci relazioni oggettuali. Il mondo
simbolico vissuto e acquisito da piccoli si riverbera in tutte le relazioni che
instaureremo da adulti, compresa quella con Dio. In certo qual modo i genitori e
le guide del bambino sono "rappresentanti
di Dio" e questa rappresentazione rimane potenzialmente disponibile per
tutta la vita.
E' importante comprendere che la rappresentazione di Dio, mediata a
livello cognitivo dai contenuti della religione a cui il soggetto aderisce, è
segnata dai fattori emozionali che sono stati dominanti al momento della sua
formazione. L'immagine del padre, come abbiamo detto, non è un'idea innata o
l'effetto d'un sentimento naturale ma si elabora in una storia familiare. Nella
religione cristiana il Padre è "là", è "prima" di ogni
esperienza di soddisfazione e l'uomo religioso sa di non essere Dio, sa
rinunciare alla propria credenza nella onnipotenza dei desideri e sa riconoscere
la propria dipendenza. L'Io sono
il Signore Dio tuo è il primo comandamento che s'impone al credente e il
voler essere come Dio è il " peccato originale " eppure sempre
presente. Solo riconoscendo il Padre e solo riconoscendosi figlio l'uomo potrà
realizzare se stesso, staccandosi dalle relazioni narcisistiche in nome di Lui.
L'essere religioso è così dato come una possibilità e l'esperienza
religiosa matura e cresce se si comprende e si esprime come spazio di una sempre
aperta relazione con un Altro che mai può essere ridotto a cosa (feticismo), né
strumentalizzato per i propri bisogni (narcisismo) ma sempre rimanda ad un
"oltre".
La religione può quindi avere la funzione positiva di oggetto
transizionale per lo sviluppo dello psichismo (oggetto che viene vissuto come
proprio ed allo steso tempo come esterno e che permette gradualmente di
staccarsi dalla simbiosi fusionale e di interagire con l'ambiente). In questo
caso la religione può fornire oggetti-sé che possono portare alla maturazione
la persona. Essa può aiutare l'uomo a raggiungere l'integrità e l'espansione
della propria personalità, anche se non vanno confusi gli ambiti religiosi e
psicoterapeutici che si rapportano con l'uomo con lunghezze diverse, pur avendo
come fine l'umanizzazione dell'uomo.
Alcune recenti scuole psicoanalitiche riconoscono alla religione un
valore strutturante e ristrutturante la personalità. La religione, in
particolare quella cristiana, non offre solo un sostegno ed un appoggio
all'individuo, bensì propone al credente un itinerario di crescita che porta al
riconoscimento di sé ed alla maturazione personale. Una certa pratica
religiosa, se parte dal desiderio di cercare Dio, aiuta ad uscire da se stessi e
quindi il desiderio di Dio può equivalere all'accesso di un rapporto con un
Essere dalle qualità materne e paterne ideali, diverso da quelli
dell'esperienza primaria talvolta frustrante. Questo rapporto, lungi dall'essere
un rifugio evasivo, può aprire la prospettiva della uscita dal tunnel della
chiusura egocentrica e può portare alla realizzazione di se stessi attraverso
un legame soddisfacente. La dimensione religiosa può quindi essere uno stimolo
potente per rielaborare la personalità, poiché vi sono impegnate le capacità
relazionali e la dimensione affettiva, che non può prescindere da un sano
narcisismo: prima di poter offrire qualcosa bisogna disporne. Cf. il
brano di Lc 7,39: “…può un cieco condurre un altro cieco? Non cadranno
tutt’e due in una fossa?”