I
Avvento
Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l'altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà.
Il tempo di
Avvento è tempo di attesa, di attesa di “uno” che però è già venuto. Nel
tempo di Avvento si incontrano memoria e profezia, si celebra il ricordo della
venuta di Cristo ed assieme l’attesa del suo ritorno. La richiesta della
vigilanza postula infatti una attesa: Dio è in cammino verso di noi. Con questa
consapevolezza noi ci volgiamo al passato per vivere il presente e attendere il
futuro, poiché l’eternità è già qui, è già presente - pur se velatamente
- e Gesù è sempre colui che viene. Alla luce di questo, “vigilare”
significa cogliere il senso dell’esistenza, crescere nella consapevolezza di sé,
spendere il proprio tempo in funzione del Regno che viene. Questo differenzia o
dovrebbe fare la differenza fra chi ha fede e chi non ce l’ha. Paolo parla di
“opere delle tenebre”, forse, parafrasando, potremmo anche dire “opere
nelle tenebre”, opere di chi vaga senza un senso o un perché, senza uno scopo
che lo apra agli altri, che lo renda partecipe ai bisogni del proprio prossimo,
senza un fine che non sia quello ristretto della propria persona. Alla luce di
questo, c’è una domanda che è fondamentale per il credente: se vi
annunciassero la fine del mondo cosa fareste? Lutero, a questa domanda, mentre
stava piantando alberi, una volta rispose che “avrebbe piantato ancora un
alberello nel suo giardino”. La risposta serena di Lutero, solo esteriormente
vicina all’incoscienza delle persone incontrate nel brano evangelico, rivela
in realtà la consapevolezza di se stesso di fronte alla possibilità del
giudizio imminente, svela un’interiorità in attesa, in avvento. La
consapevolezza di sé e del proprio destino futuro è differente dalla
disattenzione degli uomini al tempo di Noè o dei destinatari della lettera di
S.Paolo: “non si accorsero di nulla”, la vita era più che normale,
“mangiavano bevevano…” ma questo non è stato sufficiente. C’è da
chiedersi, perciò, se queste persone, di fronte all’avvento imminente del
Regno di Dio, avrebbero continuato la stessa vita! Se avrebbero risposto in
maniera analoga al quesito posto a Lutero. La domanda cruciale cioè è se
continueremmo a fare la nostra vita alla vigilia del giudizio finale oppure no.
Se nella nostra esistenza è presente l’eternità oppure no: morire infatti
significa aprirsi a ciò di cui si è vissuto sulla terra, e la vita eterna non
sarà una vita “diversa” da quella che ora viviamo. Perciò per tutti, e
soprattutto per un cristiano, è importante chiedersi se
è felice della vita che sta vivendo oppure no. Se pensa che qualcosa debba
cambiare nella propria esistenza, se ci sono ferite da sanare, rapporti da
ricucire, scelte da fare… e cosa aspettiamo a farle? Cosa fareste se domani il
mondo dovesse finire? Se la vostra risposta non è serena come quella di Lutero
significa che qualcosa nella vostra vita va rivisto. Significa che, se sentite
il bisogno di cambiare la vostra vita, in realtà la state condannando. Non è
Cristo, infatti, che giudicherà la nostra vita ma siamo già noi che la
giudichiamo: “…non sono venuto per condannare il mondo ma per salvare il
mondo. Chi mi rigetta e non accetta le mie parole ha chi lo condanna: la parola
che ho annunciato quella lo condannerà nell’ultimo giorno” (Gv 12,47-48). Chiediamoci se siamo felici oggi, se
la nostra vita corrisponde a ciò che suggerisce la nostra anima, se è
sufficiente il grado di sincerità e autenticità con cui ci confrontiamo con la
nostra coscienza, se ne ascoltiamo la voce, se sappiamo distinguerla e ne
seguiamo le indicazioni. E’ dal grado di sincerità e di autenticità
con noi stessi che deriva la nostra serenità, prima dentro di noi e poi nel
rapporto con gli altri. E’ da questo grado di sincerità e autenticità che
possono nascere risposte vere come
quella di Lutero. È al presente infatti che è donata la salvezza e ogni scelta
che viene fatta nel presente può essere un segno della venuta del Figlio
dell’uomo. Lo ripeto: solo esteriormente
non sembra poi esserci una grande differenza fra la sua risposta ed il
comportamento degli uomini al tempo di Noè o il modo di vivere stigmatizzato da
S.Paolo. Infatti è vero anche che “…due
uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l'altro lasciato. Due donne
macineranno alla mola: una sarà presa e l'altra lasciata.” Il giudizio
di Dio resta in tutta la sua misteriosità, i suoi criteri sfuggono alla nostra
valutazione, non ci sono criteri esterni, solo la nostra interiorità farà da
spartiacque. Solo la nostra coscienza, e la sincerità e l’autenticità del
rapporto che raggiungiamo con essa, ci consente di vivere l’oggi pienamente e
di occuparci del domani senza preoccuparci
del domani. Non è sufficiente una vita senza Cristo sembra ribadire S.Paolo,
senza scoprire un senso da dare a questa esistenza, senza trafficare i talenti
che ci sono stati affidati. Ecco perché Gesù verrà sempre come il ladro:
poiché egli scompiglia e rompe i nostri piani, ma lo fa per il nostro bene, per
destarci alla nostra coscienza. La
fede e la speranza passeranno, la carità rimarrà! Continueremmo la nostra vita
abituale, alla vigilia del giudizio finale?
……………………………………………………………………….
Se volete ricevere il Vangelo della
Domenica direttamente nella vostra e-mail inviate il vostro indirizzo a: