IV
Pasqua
Gv 10,1-10
In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei". Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.
L'immagine del pastore che
guida le sue pecore era familiare ad Israele (ancora oggi i pastori palestinesi
usano dei vezzeggiativi per le loro pecore) ed alimentò, nei tempi, la
meditazione del proprio rapporto con Dio. Ed è soltanto di Dio che gli uomini
dovrebbero poter parlare in questa maniera. “Io sono venuto perché abbiano la
vita e l’abbiano in abbondanza”, questa è la dimensione del pastore: il
dare la propria vita. Mentre il ladro non viene se non per “rubare, uccidere e
distruggere”. Attraverso il linguaggio di questa parabola Gesù ci dice che è
da seguire solo chi edifica, chi si dona, chi dà la propria vita e per sé non
chiede nulla (“...Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle
nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi
però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore,
e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo
infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita
in riscatto per molti” Mc 10,42-45, cf. anche la parabola della pecora perduta
di Lc 15,3-7). Questa è oltretutto una dimensione psicologica importante: avere
un genitore che si dona e abbraccia la vita dà al figlio la possibilità di
fare lo stesso, così come avere l’esempio di un genitore che è chiuso o
crede che la vita sia sofferenza porta il figlio a chiudersi e a credere che la
vita sia così. La credibilità e l’autorevolezza di una persona (da non
confondere con l’autorità o peggio ancora con l’autoritarismo) dipende da
come uno vive e abbraccia la vita, più che da quello che dice o raccomanda. La
vita stessa è insegnamento ed essa, al contrario delle parole, non inganna: da
qui nasce la consistenza di quello che Gesù dice. E, dall’ascolto di una
simile voce, si può aprire la “porta” e si può far entrare qualcuno nella
propria coscienza, nel proprio cuore. L’amore è l’unica via d’accesso
all’altro. Ogni cambiamento che avviene al di fuori dell’amore è un furto,
è un entrare da qualche altra parte che non sia Gesù perché solo Lui chiama
per nome, solo Lui ha riguardo per le condizioni e la personalità di ciascuno,
solo Lui è la porta per l’accesso al Padre, alla comunione con Dio. “Entrare
e uscire” sono sinonimi di libertà, di indipendenza, di maturità: si deve
uscire fuori da tutto ciò che ci soffoca e ci impedisce di essere noi stessi.
J.H. Newman diceva che “Dio non chiama tutti gli uomini allo stesso modo; ci
chiama uno per uno, in maniera sempre personale”. La chiamata per nome è
la chiamata ad essere ciò che ognuno deve essere in verità, ciò che ognuno
deve esprimere. Il suo invito è sempre un invito a cui si deve rispondere
in libertà e per questo liberante e il suo linguaggio è sempre adeguato alle
situazioni di ognuno. Dio rispetta sempre l’individualità e la condizione
personale, non forza mai nessuno ad entrare o uscire ed ha un messaggio
specifico per ogni persona. Gesù accompagna le persone ridestando il loro
intimo, e la risposta nasce dal di dentro, dall’aver riconosciuto
l’autorevolezza di quella parola di vita. Chi si lascia coinvolgere dal
messaggio del Vangelo scoprirà, piano piano, di trovare se stesso, la strada a
cui Dio da sempre l’ha chiamato, il proprio nome! Nome che esiste una
volta sola nella storia dell’umanità. Oggi la Chiesa celebra la giornata
mondiale delle vocazioni, l’Annuarium Statisticum della Santa Sede ha rilevato
come nel papato di Giovanni Paolo II ci sia stato un netto calo di vocazioni
(pur con l’aumento in Asia e in Africa e in netto contrasto con l’apparente
coinvolgimento delle masse giovanili). Un’altra delle molte contraddizioni di
questo papato? Probabilmente. Certo è che nelle gerarchie ecclesiastiche, oggi
come ieri, si individuano le cause del calo delle vocazioni sacerdotali e
religiose nell’etica minimalista presente nella società attuale, nel
qualunquismo imperante nella nostra cultura consumistica, nella perdita dei
valori, nella mancanza di generosità da parte dei ragazzi e delle famiglie che
li crescono, nel fatto che i giovani non sanno più prendersi un impegno totale,
incondizionato, continuativo, per tutta la vita. Quando la Chiesa cesserà di
vedere all’esterno di sé le responsabilità dei propri mali, delle proprie
carenze? Quando sarà capace di fare un buon, onesto, severo e profondo esame di
coscienza prima che sia la storia a portarla a questo? In questo brano Gesù
attacca quello che è un ingiusto esercizio dell’autorità sul popolo,
rivendicando quello che appartiene soltanto a Dio (cf. anche Mt 23). Nessuno
dovrebbe osare fare ombra a Dio con la presunzione dei propri ordini. È
necessaria una sola porta e spesso, troppo spesso, definizioni, normative fatte
passare come assolute, discorsi dogmatici ecc. tendono a mettere altre porte…La
credibilità e l’autorevolezza di una persona dipende da come uno vive e
abbraccia la vita più che da quello che dice o raccomanda.
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